Recensione: Deep Sea Arcade – Outlands

Deep Sea Arcade - Outlands

Deep Sea Arcade – Outlands

Artista: Deep Sea Arcade
Titolo: Outlands
Anno: 2012
Genere: indie pop/rock

Lente d’ingrandimento: Una partecipazione al Primavera Sound di Barcellona (2011), una al The Great Escape di Brighton, sempre nel 2011, e diverse apparizioni a supporto di The Charlatans, Kaiser Chiefs, Modest Mouse, fino ad arrivare a Noel Gallagher e i suoi High Flyin’ Birds.
Sembrerebbe l’inizio della canonica storia di una band d’oltremanica che ha appena rilasciato un secondo disco dopo un esordio che aveva seminato ondate di entusiasmo, probabilmente più tra il pubblico che tra la critica. Invece niente tutto di questo, perchè il gruppo in questione ha realizzato tutto ciò senza nemmeno averlo pubblicato un disco (ad eccezione di un EP, “Don’t be sorry”, del 2009). Possibile? Si, una realtà di questo tipo esiste, viene dall’Australia e va sotto il nome di Deep Sea Arcade. Il loro esordio Outlands ha infatti visto la luce solo nel marzo del 2012 (per la Ivy League Records di Sydney, la stessa dei Cloud Control), quando la carrellata di esperienze sopra indicate era già in bella mostra nella loro bacheca.
Le chitarre della title-track in apertura richiamano alla mente i primi Interpol, che si riaffacceranno poi anche nel proseguo del disco (“All the kids”), e sostengono il brano fino all’agitarsi del suo finale, trovando con la voce di Nic Mckenzie una perfetta simbiosi. “Seen no right” combina sapientemente un po’ di rock ‘n’ roll di orientamento sixties con un energico e più contemporaneo ritornello e la stessa esplorazione di influenze di epoche tanto lontane quando facilmente riconducibili tra loro si ritrova anche in “Girls”, che chiude un trittico iniziale che mantiene piuttosto elevato il livello di attenzione suscitato dal disco fino a questo punto.
Un tentativo di ritorno al presente si ha con Steam, con la quale si addentrano in un fresco e puro indie-pop, mentre le sonorità che riportano al sole, al mare e al surf tipici della terra d’origine della band, che non potevano non trovare spazio, si manifestano in “Lonely in your arms”, sebbene non accompagnati da liriche propriamente solari. “All the kids”, si diceva in apertura, inizia con delle chitarre che devono qualcosa a Paul Banks e soci, e rallenta e scurisce un po’ le atmosfere, mettendo però bene in risalto la batteria di Carlos Adura.
Il saccheggio alle sonorità della decade con il 6 davanti è evidente e reiterato e il fronte lungo il quale si protrae è lungo, come lunga sarebbe un’eventuale lista di nomi da fare e troppo scontato sarebbe inserirci i Beatles. Il problema però, nel caso dei 4 ragazzi australiani, sembra quello di non riuscire ad essere sufficientemente impermeabili a tali influenze e di lasciarle affondare troppo alla radice del loro sound, non facendo così traspirare abbastanza la propria personalità e le proprie idee che, comunque, nell’impianto dei Deep Sea Arcade sembrano esserci, nel vedere come rielaborano le fonti da cui attingono.
Quando sembra di aver ormai capito l’antifona e l’entusiasmo inizia ad andare un po’ scemando, i Deep Sea Arcade sono bravi a piazzare in tracklist “Ride”, lenta e malinconica, che senza inventare nulla nell’universo dei pezzi etichettabili come “ballad”, riesce però ad avere un buon impatto dal primo ascolto ed a ritagliarsi un posto tra i brani del disco da mettere in evidenza.
C’è ancora spazio per un ritorno alle sonorità retrò di “The Devil won’t take you” e per la brevilinea “Don’t be sorry”, scolpita intorno ad una solida batteria martellante, che potrebbe avere il pregio di porsi come un valido pezzo pop tradizionale, se non presentasse allo stesso tempo il difetto di suonare come qualcosa di già abbondantemente proposto. La conclusiva Airbulance esibisce nuovamente una buona linea vocale di Mckenzie ma pare rimanere un tentativo di sperimentazione un po’ fine a se stesso.
Un disco che si fa comunque abbastanza apprezzare quello della compagine di Sydney, che convince maggiormente ai primi ascolti per poi però perdere progressivamente di appeal con i successivi, durante i quali emergono e prendono forma quei “difetti” di cui si è parlato sopra. Sicuramente le basi da cui partono sono buone e se riescono, come si diceva, a mettere più in risalto una loro indentità propria, potranno confermare di essersi meritati appieno tutte le grandi occasioni che fino ad ora gli sono state offerte.

Voto: 6,5

Brani migliori: Outlands, Seen no right, Ride

Tracklist:
01 – Outlands
02 – Seen No Right
03 – Girls
04 – Granite City
05 – Steam
06 – Together
07 – Lonely In Your Arms
08 – All The Kids
09 – Ride
10 – The Devil Won’t Take You
11 – Don’t Be Sorry
12 – Airbulance

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