Recensione: We Were Pirates – Change

We Were Pirates - ChangeArtista: We Were Pirates
Titolo: Change
Anno: 2012
Genere: pop-rock, indie-rock

Lente d’ingrandimento: Tutti i progetti, siano essi di ambito strettamente musicale o meno, che possono vantare una storia che li vede nascere tra le mura di una stanzetta o di un garage, godono inevitabilmente di un fascino particolare. La cosa vale quindi anche per la piccola “azienda” We Were Pirates, fondata in solitaria da Mike Boggs, che ha presentato nel 2009 il suo primo progetto sulla lunga distanza chiamato “Cutting Ties” (dopo l’EP “The Wolf” del 2007). Dopo essersi presentata e aver ottenuto le prime attenzioni, il passo successivo per un’azienda, quando i suoi piani iniziano a farsi consistenti, è solitamente la necessità da parte del founder di arruolare nuovo personale e anche Boggs non si sottrae quindi a questa esigenza. Ecco che allora si materializzano, nel nuovo lavoro, Gabe Fry (The NRIs) alla chitarra e Kate Rears Burgman (The Alphabetical Order) al basso. Infine, l’ultimo passo da compiere per ottenere una certa solidità, è quello di nominare un collaboratore valido e con esperienze significative per occuparsi delle questioni di una particolare importanza; e anche in questo caso la ragione sociale We Were Pirates si dimostra all’altezza nel prendere le decisioni delicate, affidando il processo di mastering a T.W. Walsh, personaggio dal curriculum sontuoso, basti fermarsi alla voce “Sufjan Stevens – The Age of Adz”.
Detto questo, il prodotto che si ha da offrire deve comunque essere valido e, chiudendo la digressione in campo di economia aziendale per tornare ad occuparci strettamente di musica, la condicio sine qua non perché il tutto funzioni resta, quindi, la qualità di base della proposta artistica. E di qualità, nel nuovo disco a nome We Were Pirates, se ne trovano distribuite qua e la diverse tracce.

Dal titolo, al passaggio da one-man project a band, ai testi dei brani, emerge chiaramente come il tema fondamentale intorno a cui ruota il disco siano i cambiamenti. Cambiamenti sotto diversi aspetti, avvenuti o meno, personali o di chi sta intorno, analizzati dichiaratamente e in modo diretto, stessa caratteristica trasmessa poi ai pezzi stessi. Tale tema è centrale al punto da sottilinearlo marcatamente sul sito, alla voce “About”, nella parte in cui si descrive il nuovo lavoro: “Thematically, the question of whether or not people are capable of change is explored.”
Già a partire dall’opener dell’album, Boggs dimostra di avere le idee chiare su quanto ha da dire ma, soprattutto, nel modo in cui intende farlo. Sì, perché se il tuo biglietto da visita recita a ripetizione versi come “I was better off without you, because I know you’ll never change” è chiaro che il rischio che venga subito tirato in ballo l’aggettivo “banale” si fa concreto. Fatto invece scongiurato dalla totale spontaneità nell’interpretazione del brano che, unita ad una struttura sottostante semplice ma immediata lo rende assolutamente apprezzabile. Si prosegue con l’ottimo supporto costante della batteria alle chitarre taglienti di Civilized Man, e con il riff grezzo di Misery, che si insinua però con eleganza tra i suoi versi. La prima parte di Kill Me rappresenta invece un’incursione, ben riuscita, in territorio puramente indie-pop (ai cui canoni si sa adattare alla perfezione la voce di Boggs) che apre la strada al pezzo più in evidenza del disco, “People, Places, Things” che, con l’ottimo basso a supporto della strofa e il suo ritornello schietto e di istantanea metabolizzazione, conferma quanto detto qualche riga più in su e cioè che un concetto anche semplice, se espresso nel modo giusto, può portare ad un risultato più che valido.
Tema del cambiamento si diceva in apertura, che raggiunge il livello di ossessione con la successiva title-track, lenta e riflessiva, nella quale il modo in cui viene iterata l’intenzione “I’m gonna change” esalta ancora una volta quella che risulta essere la caratteristica principale dell’intero album: la spontaneità. L’intermezzo strumentale della seconda parte di Kill Me, che ha sempre nell’immediatezza il suo punto di forza, e la malinconica Little Consolation costituiscono una parentesi che precede il ritorno sui binari del più canonico indie-rock della scorsa decade di “I want you back”, prima della conclusiva “All I can do” sostenuta efficacemente dal basso le cui linee, spesso in questo disco, recitano un ruolo tutt’altro che secondario.
In sostanza si tratta di un lavoro che ha dalla sua il fatto di poter vantare una buona qualità di fondo nella quasi totalità dei pezzi che lo compongono, in cui idee, anche semplici, vengono lavorate e presentate in un modo che cattura, e spesso rimane, fin dai primi ascolti. Sicuramente meritevole di qualche attenzione in più, sebbene abbia già saputo conquistarne alcune di importanti, come quella di Wired (“We Were Pirates is featured in the March issue of Wired Magazine! I’m a huge Wired fan and it is one of only two magazines I subscribe to” il commento di Boggs su facebook alla notizia).

Brani migliori: People Places Things, Better Off Without You, I Want You Back

Voto: 7,5

Tracklist:

  1. Better Off Without You
  2. Civilized Man
  3. Misery
  4. Kill Me (Part One)
  5. People Places Things
  6. Change
  7. Kill Me (Part Two)
  8. Little Consolation
  9. I Want You Back
  10. All I Can Do

Change - We Were Pirates

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